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06-05-2011

9a Giornata dell'Economia - Performance delle Medie Imprese Manifatturiere

 

Dr. Davide Castellani e Dr. Fabrizio Pompei, Università degli Studi di Perugia


“Performance delle Medie Imprese Manifatturiere in provincia di Perugia”

 


La prima parte dello studio è un’analisi dei bilanci delle società di capitale con più di 50 addetti, operanti nella provincia di Perugia tra il 2000 ed il 2008. In particolare, si è dapprima operata una disamina delle performance economico-finanziarie di queste imprese a livello di settori Ateco, dove i settori manifatturieri e quello delle costruzioni della provincia perugina si sono confrontati con gli stessi settori delle altre macro-aree geografiche del paese; in seconda battuta, si è passati a selezionare un gruppo di imprese eccellenti, definite in base alla persistenza nel tempo di un’alta produttività del lavoro, e se ne sono esaminate alcune caratteristiche.


Dalle analisi descrittive condotte a livello di settori Ateco, sembra emergere una certa eterogeneità nel modo con cui la struttura finanziaria è correlata a buone performance nell’efficienza e nella competitività. Inoltre in alcuni casi, i buoni risultati ottenuti nell’analisi statica al 2008, non sono confermati dall’analisi dinamica. Ad esempio il settore Tessile ed Abbigliamento, caratterizzato da un alto indice di indebitamento e bassa patrimonializzazione tangibile, si presentava nel 2008 con buone performance nella redditività, nella competitività e nella produttività. Tali risultati non sembrano tuttavia mostrare una buona persistenza nel tempo: l’analisi lungo il profilo temporale ha mostrato un forte andamento altalenante di tutti e tre questi indicatori. Più in generale tali performance sembrano risentire particolarmente dei periodi di congiuntura sfavorevole.


Un andamento non molto diverso è stato riscontrato in settori che si trovano tra loro agli antipodi riguardo al livello di intensità tecnologica, vale a dire il settore dei Minerali non Metalliferi (le imprese del cemento e del laterizio) ed il settore dei Veicoli Aereospaziali (dove opera una sola impresa). Anche in questo caso i due settori erano accomunati dalle buone performance registrate nel 2008, ma l’andamento oscillatorio degli stessi indicatori, evidenziato tra il 2000 ed il 2007, lascia pensare ad una effimera congiuntura favorevole, piuttosto che ad un sostenuto processo di crescita.


Soprattutto l’andamento della redditività del capitale proprio, eccessivamente condizionato dai fenomeni di congiuntura, e rilevato nei settori di specializzazione della provincia perugina quali sono il Tessile ed i Minerali non Metalliferi, potrebbe essere spiegato dal non affidarsi appieno al miglioramento progressivo e sostenuto dell’efficienza tecnica e della produttività.
Questi risultati ci hanno reso scettici riguardo all’uso dei settori Ateco come unico livello di analisi e ci hanno spinto ad esplorare altre strade, al fine di identificare gruppi di imprese dove si potesse osservare una maggiore omogeneità interna ed una maggiore coerenza tra la struttura finanziaria e le performance di produttività/profittabilità.


La selezione di un gruppo di eccellenza (31 imprese), avvenuta in base alla capacità delle stesse di occupare i primi posti nella classifica della produttività del lavoro per due o tre trienni di seguito, si è rivelata la chiave di volta per catturare una serie di comportamenti virtuosi sia nelle performance economiche che in quelle finanziarie. Queste 31 imprese eccellenti, che si ritrovano non solo nei 3 settori sopra citati ma anche in altri settori, si distinguono infatti per avere profittabilità (ROA e ROE), competitività (costo del lavoro per unità di prodotto), salari e struttura finanziaria (basso indebitamento e patrimonializzazione tangibile) molto al di sopra dei livelli riscontrati nelle altre imprese. Inoltre, soprattutto la variabilità dei livelli di profittabilità è risultata all’interno di questo gruppo molto più bassa di quella riscontrata nei diversi settori, nei gruppi di imprese classificate per intensità tecnologica (Hi-tech, Low-Tech) e per classi dimensionali (imprese medio-piccole, medie e medio-grandi). Questo vuol dire che le medie del ROE e ROA calcolate nel gruppo delle imprese eccellenti sono molto affidabili e che esistono fattori comuni a tali imprese, che ne determinano buone performance a prescindere dal settore a cui esse appartengono o dal fatto che siano imprese classificate in settori ad alta tecnologia o a bassa tecnologia.


Attraverso un’analisi basata sugli indici di bilancio, si è dimostrato quindi che se si riesce a mantenere alti nel tempo i livelli ed i tassi di crescita dell’efficienza tecnica e quindi della produttività del lavoro, allora si riesce anche a spuntare alti tassi di profitto contenendo il costo del lavoro per unità di prodotto, ma allo stesso tempo si incrementano i salari, ci si indebita meno e si migliora la patrimonializzazione tangibile, che costituisce una buona credenziale di partenza per rivolgersi agli istituti di credito in momenti di difficoltà come quello attuale.
Ovviamente in questa prima parte dello studio manca un’analisi accurata di alcuni attributi delle imprese: i modelli organizzativi, il posizionamento nella catena del valore, la propensione ad investire, innovare ed esportare, che possono spiegare i maggiori livelli di produttività. Per questo motivo, la seconda parte del rapporto si concentra su un’indagine “sul campo”, dove tali aspetti sono contemplati.


Tuttavia tali risultati gettano luce anche su un possibile nuovo sentiero di indagine, che potrebbe essere oggetto di ricerche future. In effetti sia dallo studio condotto sui settori, che da quello condotto sulle singole imprese per identificare le eccellenti, si evidenzia che eccetto in queste ultime, non esiste una corrispondenza stretta tra produttività e profittabilità. L’alto coefficiente di variazione che il ROE ha nelle imprese in declino, indica che ci sono imprese dove tale indicatore registra anche valori molto alti, quindi imprese con alti profitti anche se hanno una produttività del lavoro bassa. D’altra parte se si considera l’insieme totale dove le imprese sono distinte per dimensione, è nelle imprese più piccole che si registrano i tassi di profittabilità più alti. Sarebbe interessante allora poter indagare più approfonditamente se nel lungo periodo conta più l’efficienza tecnica o avere alti tassi di profitto, per sopravvivere e continuare a crescere nel mercato. Abbiamo visto che in un ristretto gruppo di imprese che abbiamo definito eccellenti, le due caratteristiche si muovono insieme. Quindi esistono capacità organizzative e politiche di impresa che permettono di raggiungere tali situazioni virtuose. Ma ci si può chiedere anche se le imprese in cui c’è solo una profittabilità alta, senza produttività del lavoro soddisfacente, rimangono sul mercato oppure sono destinate ad uscire. Perché se la prima ipotesi trovasse conferma, avremmo accanto ad una ristretta cerchia di imprese virtuose, un altro gruppo di unità produttive “attanagliate” in una trappola della bassa crescita della produttività e bassi salari, dove però profitti ancora soddisfacenti permettono di sopravvivere.


Nella prima parte del Rapporto abbiamo messo in evidenza come ad un ristretto gruppo di imprese eccellenti sotto il profilo della produttività siano anche attribuibili comportamenti virtuosi in termini di profittabilità, competitività di costo e struttura finanziaria. Nella seconda parte, abbiamo approfondito quali siano le caratteristiche più qualitative che definiscono le imprese eccellenti. In particolare, attraverso una indagine a cui hanno risposto 59 imprese con più di 50 dipendenti nella provincia di Perugia, abbiamo analizzato, tra gli altri aspetti, il profilo delle risorse umane, dell’organizzazione, dei comportamenti di investimento, di innovazione e internazionalizzazione. I risultati ci aiutano a definire una sorta di identikit delle medie imprese eccellenti della provincia di Perugia.


Il profilo dell’impresa di successo che risulta dalla nostra analisi è quello di una organizzazione che mette al centro della propria strategia la qualità delle risorse umane e dell’organizzazione. Nelle imprese migliori è infatti più alta la quota di occupati con un diploma superiore o con una laurea, sono presenti più quadri e dirigenti esterni alla famiglia e, tra queste figure manageriali, è più alta la presenza di donne. Inoltre, il profilo più qualificato delle risorse umane si riflette in una maggiore articolazione organizzativa, con un maggior numero e una superiore complessità delle funzioni accessorie alla produzione svolte nelle imprese migliori, nel ricorso più frequente all’innovazione organizzativa e all’ investimento in sistemi gestionali ed informativi, complementari alla professionalizzazione delle attività di direzione dell’impresa. Le imprese eccellenti poi mostrano una propensione decisamente più marcata all’investimento in tecnologia sia incorporata in beni strumentali, anche attraverso il ricorso a beni importati, che sviluppata attraverso investimento in R&S in strutture interne all’impresa. Le caratteristiche di eccellenza delle imprese si associano poi a risultati migliori in termini di innovazione e internazionalizzazione, consentendo di cogliere opportunità derivanti dai mercati emergenti e dalla internazionalizzazione della catena di fornitura.


L’analisi empirica svolta per questo Rapporto fornisce importanti indicazioni per le strategie delle imprese, per la politica industriale e la futura ricerca economica. Per le imprese, avere individuato alcune caratteristiche chiave che definiscono il profilo di una impresa di successo consente di avere un benchmark rispetto al quale rapportare le proprie caratteristiche e le proprie strategie. Per la politica industriale, un analisi che punti ad identificare le imprese eccellenti e le loro caratteristiche è importante perché consente, da un lato, di pensare ad interventi mirati volti ad incentivare dall’alto solo le imprese migliori, e dall’altro, ad intervenire, dal basso, sulle condizioni di contesto e sulle strategie che favoriscono l’emergere di imprese eccellenti. Tuttavia, molto deve essere ancora fatto dal punto di vista della ricerca economica. L’analisi descrittiva svolta finora infatti non consente di valorizzare il contributo relativo delle diverse caratteristiche d’impresa all’identikit delle imprese virtuose. In altre parole, molte delle caratteristiche delle imprese eccellenti vanno insieme. Le imprese più grandi tendono ad avere più figure manageriali e ad avere maggiore strutturazione organizzativa, a fare più innovazione e ad orientarsi verso i mercati internazionali. Ma quindi la crescita dimensionale in ultima analisi la soluzione? Probabilmente no, perchè esistono casi di imprese di successo che mantengono dimensioni contenute, ma raggiungono l’eccellenza agendo su altri fattori. Per dare una risposta più precisa a questo problema però, l’analisi va inserita in un contesto di statistica multivariata e possibilmente osservando le imprese nel tempo, ma questo però passa necessariamente per l’estensione ad un numero maggiore di imprese, lavorando per incrementare il già buon tasso di risposta e, ad esempio, inserendo il campione perugino in un più ampio confronto con imprese del ternano e di altre regioni limitrofe.

Ma serve anche un approfondimento di riflessione sui fattori profondi che possono essere alla base del successo competitivo delle imprese. Sono almeno due le possibili, ancorchè non necessariamente alternative, interpretazioni. Da un lato, le imprese che diventano eccellenti sono quelle che fronteggiano la concorrenza nazionale ed internazionale, che non si accontentano di navigare a vista nella tranquillità di un contesto competitivo protetto. D’altro canto, abbiamo visto che all’interno dello stesso settore, quindi presumibilmente dello stesso contesto competitivo, esistono imprese eccellenti ed imprese in declino. Quindi si fa strada un’altra interpretazione, che riecheggia le teorie di Giorgio Fuà che, tra gli altri, proponeva già oltre trenta anni fa di mettere al centro dello sviluppo dell’impresa e delle economie il fattore imprenditoriale (Fuà, 1980), e che Enzo Rullani richiama oggi parlando di imprenditorialità consapevole (Nardozzi e Paolazzi, 2011). Ovvero, in ultima analisi la spinta al cambiamento dell’impresa e all’eccellenza proviene dagli elementi soggettivi dell’imprenditore. Di fronte a questa interpretazione verrebbe da pensare che allora l’eccellenza di impresa dipenda da fattori genetici e causali che portano alcuni imprenditori ad adottare comportamenti “illuminati”. In realtà non è così, gli imprenditori, che nascono per definizione innovativi e propensi al cambiamento, possono perdere questa spinta, anche a causa del passaggio generazionale nelle imprese, ma possono riacquistarla. Questo lavoro, e più in generale, la ricerca economica, può essere una briciola che contribuisce a mostrare la strada, evidenziando quali sono le caratteristiche che rendono le imprese più competitive e consentire agli imprenditori di seguire la strada investendo nella propria impresa per il successo proprio e dell’interno sistema economico.

 

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